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L'anello delle Dolomiti Friulane è un trekking che si sviluppa per la maggior parte all'interno del Parco Naturale delle Dolomiti Friulane, un territorio selvaggio, poco frequentato, dove è possibile godersi i suoni della natura senza esser infastiditi dal frastuono delle auto; ma attenzione ad arrivare preparati, anche l'anello classico prevede dei sentieri accidentati e, a volte, molto ripidi.
Il nostro trekking nasce dal mio desiderio di vacanza ed esplorazione di quei territori di cui nel mio lavoro sento spesso parlare, ma che per il momento non ero ancora riuscito a visitare.
In realtà con il mio amico Ragù il prossimo anno avremmo intenzione di affrontare il trekking del Grande Blu ed è necessario conoscersi prima di affrontare un periodo sempre insieme.
In linea teorica avremmo dovuto affrontare l'Anello delle Dolomiti Friulane classico, poi come leggerete non è andata proprio così...
Giorno 1
Alle 10.00, lasciata l'auto al parcheggio Meluzzo (1174 m), iniziamo a salire lungo la strada asfaltata che porta al Rifugio Pordenone, che decidiamo di tralasciare deviando per il sentiero 352, che sale ripido verso il Belvedere del Campanile di Val Montanaia. Dopo qualche minuto di cammino in mezzo al bosco, al bivio prendiamo il sentiero 353 che si ricollega, tagliando il ghiaione, al sentiero che sale dal Rifugio Pordenone e prosegue con stesso segnavia su per la pietraia. Passando da destra a sinistra, da sinistra a destra, il sentiero si inerpica ripido su per il ghiaione. A un certo punto un rumore di sassi che rotolano attira la nostra attenzione: un signore, che poi conosceremo col nome di Domenico, lamenta l'assenza del sentiero e cerca goffamente di attraversare la pietraia. Io continuo a salire seguendo i segnavia, senza le difficoltà riscontrate da Domenico, Ragù invece preferisce seguire gli ometti e ci separiamo, rimanendo però a vista. Attraversato da ovest ad est il ghiaione (~1800 m), mi ricollego a Ragù, che nel frattempo ha raggiunto Domenico, e insieme saliamo ripidi tra mughi, abeti e larici.
Domenico, pensionato sulla sessantina e convalescente da un'operazione al bacino, ci accompagna per un quarto d'ora, raccontandoci le sue intenzioni di andare in Sudamerica, tra Cile e Argentina, Ragù, che è preparato, ci narra parte della sua fresca esperienza in Patagonia. Purtroppo le gambe di Domenico gli consigliano di non strafare e ci salutiamo promettendo di mandargli le foto del Campanile di Val Montanaia.
Giunti al Campanile di Val Montanaia, dopo un altro pezzo di ghiaione, ci riposiamo nei pressi del Bivacco Perugini (2060 m) e ci ristoriamo con le dolcissime pesche della Cadoro (non compratele 3 erano marce e 1 era un sasso), qualche albicocca secca e un po' di acqua.
Dopo un breve controllo della cartina, proseguiamo per il sentiero 353 fino alla Forcella Montanaia dove, abbastanza provati, ci fermiamo a pranzare e a goderci il paesaggio (a Sud la splendida vista sulla Val Cimoliana, a Nord il Crodon di Scodavacca, Calalzo di Cadore e dietro le Marmarole).
Satolli ci incamminiamo accorti giù per il ripido e accidentato sentiero, dove incontriamo un prode che di buon'ora era partito dal parcheggio Meluzzo, aveva risalito la Val di Monfalcon, era passato per il Bivacco Marchi Granzotto e stava celermente risalendo la Forcella per ritornare al parcheggio.
Il sentiero intorno a quota 2000 m si perde nel ghiaione costringendoci a scendere giù dritti fino al limitare del bosco, dove riprende un ripido sentiero che dopo poco si inserisce nel sentiero 342 (Val d'Arade quota 1800 m). Dopo un'oretta di discesa gratuita (dovremo rifarla l'indomani in salita) in mezzo al bosco, verso le 17 raggiungiamo il Rifugio Padova, dove finalmente tolte scarpe e il pesante zaino e ci scoliamo una bionda ghiacciata.
Giorno 2
Alle 8.30 dopo una lauta colazione a base di yogurt e muesli, pane, burro e marmellata, e molto thè, risaliamo il sentiero 346 fino al bivio con il sentiero 342 e continuaiamo a sinistra verso la Forcella di Scodavacca (segnavia 346). Mano a mano che saliamo appaiono alle nostre spalle maestosi i gruppi dolomitici di Marmarole, Antelao, Pelmo e Civetta. Usciti dal bosco, ormai diventato mugheto, arriviamo in vista di Forcella Scodavacca (2043 m), dove ad attenderci c'è il primo ripido ghiaione.
Sono appena le 10.15 e sarebbe stato troppo semplice arrivare per pranzo e riposati al Rifugio Giaf scendendo tranquillamente per il sentiero 346; quindi, la sera prima ci eravamo informati dal gestore del Rifugio Padova su eventuali possibili varianti da intraprendere.
"Meglio che andiate su alla Tacca di Cridola e poi a godervi il paesaggio dal Bivacco Vaccari, piuttosto che al solito Bivacco Marchi Granzotto, bello sì, ma ci van tutti [...] fidatevi andate al Vaccari rimarrete a bocca aperta", così ci incitava lo scaltro rifugista.
E che dire... siamo rimasti proprio a bocca aperta: splendido il paesaggio aperto alle dolomiti di Sesto, ai ghiacciai austriaci visibili in lontananza, alle Tre Cime di Lavaredo e di nuovo alle Marmarole, ...ma in mezzo quanto abbiamo dovuto penare!
Innanzitutto, da Forcella di Scodavacca, il sentiero 344 risale il ghiaione fino alla Tacca di Cridola (2303 m), dove se attrezzati di corda, imbrago e caschetto è possibile intraprendere l'ascesa al Monte Cridola (passaggi entro il 3°). Riccardo, un ragazzo che era salito in solitaria alla cima, ci descrive brevemente l'ascesa; ma la strada è ancora lunga e preferiamo non arrischiarci, sebbene un gruppo di tedeschi ci avesse offerto l'attrezzatura.
Consumate le prime 4 uova sode, che alleggeriscono lo zaino di Ragù, ci accingiamo alla discesa verso il Vaccari.
*+#@§^'* (imprecazione) il sentiero è tutt'altro che agevole, un ghiaione senza ghiaia, ergo un sentiero ripidissimo che decidiamo di affrontare sedere a valle e mani e piedi adesi alla roccia scendendo come se stessimo affrontando una discesa alpinistica (SOB)...intanto Super Mario ci guarda dall'alto. Ecco che ricompare la ghiaia e possiamo scendere dritti per dritti fino alla fine della parete rocciosa, dove incontriamo un cartello che ci segnala la direzione per il Bivacco Vaccari.
"Uao finalmente un normale sentierino...ah no, come non detto", girato l'angolo ecco delle altre roccette da affrontare per raggiungere il sentiero -.-. Nonostante tutto le superiamo e giungiamo al Bivacco Vaccari (2050 m), maestoso nel vallone sotto Forca del Cridola e affacciato sulle belle dolomiti di Sesto, Tre Cime e Marmarole. Qui ci concediamo solo una breve pausa; la sosta vera è prevista un centinaio di metri più su per il sentiero 340 alla Forca del Cridola (2171 m), dove la vista si sposta ai monti carnici.
Dopo un ottimo panino al patè di tonno riprendiamo il sentiero 340, ossia affrontiamo il 2° ghiaione di giornata. Dopo un breve e semplice tratto di traverso, un tratto di cavo (2 tiri, uno in più non guastava), quindi per una piccola valle tra la montagna (Nodo di Tor) e i 2 pinnacoli - imprecando contro il rifugista - affrontiamo ancora impervie roccette a scendere. Finalmente, aggirati i pinnacoli alla base, il sentiero 340 si fa meno ripido e tramite un po' di sali scendi in mezzo alla boscaglia arriviamo al Monte Boschèt (1706 m), dove al Campanile Gildo "Canova" inizia la discesa per l'Anello di Bianchi.
Alle 16.40 siamo finalmente al Rifugio Giaf, dove dopo una bionda ghiacciata, ci rilassiamo con una doccia calda.
Giorno 3
Alle 8.20 dopo una discreta colazione, ci addentriamo nel bosco per il Truoi dai Sclops (Sentiero delle genziane): il sentiero nel primo tratto appartiene all'Anello di Bianchi (con segnavia 342 e 361), quindi a quota 1580 m si biforca, a destra si sale al Bivacco Marchi Granzotto (segnavia 342), a sinistra invece alla Forcella Urtisiel (segnavia 361).
Giunti in Forcella (1985 m) decidiamo di non deviare verso Cima dell'Urtisiel ...dopo la giornata precedente, è meglio risparmiare le forze e tornarci un'altra volta. Dopo esserci intrattenuti qualche minuto con Alan, signore edimburghese, e i suoi 2 amici inglesi, che già avevamo incontrato al rifugio Padova e Giaf, ripartiamo. Il sentiero 361 non presenta difficoltà, possiamo guardarci intorno e in breve tempo siamo al Ricovero Casera Valbinon (1778 m) dove ci alimentiamo con qualche fico ed Esse buranei.
Ritorniamo sui nostri passi per qualche decina di metri fino al bivio; bisogna prendere il sentiero 369 che uscendo dal bosco, dopo un breve traverso su ghiaione, attraversa la Prateria di Canpuròs e giunge ripido su per un altro ghiaione alla Forcella Val di Brica (2076 m). La vista si apre tra le Cime Fantulina (2283 m a sud-est) e la Cima Brica (2362 m a sud-ovest), ma il cielo inizia a chiudersi.
Il tempo di qualche foto e siamo già in cammino verso Forcella dell'Inferno (2170 m): si scende di oltre un centinaio di metri per risalire lasciandosi a destra il Mus di Brica (2067 m). In forcella un cornuto ad attenderci; che si tratti di uno stambecco con piccole corna è un ragazzino a dircelo, non si trattiene, e noi, nel dubbio, mangiamo un altro paio di uova e di panini col tonno.
Alle 13.30 riprendiamo il sentiero 369 giù fino a Forcella Fantulina Alta (2112 m), dove deviamo sul sentiero 369A e a passo cauto discendiamo tra mugheti e, immancabili, ghiaioni fino al Rifugio Flaiban Paccherini (1587 m), dove troviamo i 2 Bolognesi che avevamo salutato al Rifugio Padova due giorni prima.
Trascorsa una mezz'oretta, chi sorseggiando birrette, chi bevendo tisanine, scorgiamo in lontananza 5 figure vicine che scendono lentamente per il nostro stesso sentiero e un'altra più in basso che si muove veloce. Rimaniamo basiti, quando vediamo che è Alan. Quando eravamo in Forcella dell'Inferno avevamo scorto i 3 tedeschi beoni (ci "accompagnavano" dal Rifugio Padova) che salivano a passo sicuro, mentre eravamo ripartiti quando ancora Alan e i suoi amici non si vedevano all'orizzonte.
Giorno 4
Alle 8.30 puntuali come orologi svizzeri salutiamo il Paccherini e saliamo per il sentiero 362. Dopo un primo tratto di sentiero ripido in mezzo ai mugheti, giungiamo ad un bivio e deviamo sul sentiero 363 che dolcemente ci porta al Passo di Suola (1994 m), dove si presenta un quadrivio.
Al rifugio, il gestore ci aveva parlato di due varianti, alternative al sentiero classico, per salire alla Forcella Pramaggiore: un sentiero alto e uno basso in parte attrezzato, ma "sono semplici", aveva detto...
Dal Passo di Suola si segue l'indicazione Sentiero attrezzato Barini (segnavia 363a), subito il sentiero si biforca: quello alto appare in buona parte ceduto, quello basso sembra più marcato.
Decidiamo di seguire quest'ultimo, che si rivela, nonostante un buon inizio, mal segnalato: sporadici e solo rossi sono i segnavia (NON i bianchi e rossi del CAI) e molto ripido. Per fortuna la nostra ascesa è ripagata dal passaggio silenzioso di 4 stambecchi. Addentratici in una stretta e piccola valle, apparentemente senza uscita, scorgiamo un chiodo metallico, quindi il cavo: *+#@§^'*, dubbio amletico (meglio ritornare indietro per il ripido pendio o salire spavaldi per la via attrezzata?).
Dopo tanti *+#@§^'*, *+#@§^'*, *+#@§^'*, *+#@§^'*, *+#@§^'*, *+#@§^'*, e senza smettere di pensare *+#@§^'*, *+#@§^'*, *+#@§^'*, afferriamo il cavo e iniziamo a salire. Sono 3 tratti: muro con solo 1 gradino iniziale, traverso, fine cavo; pausa (birra Moretti); inizio cavo, tratto in traverso su cengia esposta, tratto verticale, fine cavo; *+#@§^'*,*+#@§^'*, siamo in una conchetta sotto un muro di roccia scavato dall'acqua, *+#@§^'*,*+#@§^'*, l'ultimo tratto di cavo è 1,5 m più sopra a sinistra. Il prode Ragù va per primo per verificare la lunghezza del tratto e che non ci siano tratti in discesa, io attendo sotto il muro, provando a godermi almeno il paesaggio.
Per fortuna 2' dopo Ragù segnala che si può proseguire: tratto verticale con gradini, traverso con gradini, tratto con cavo da una parte e piedi dall'altra, quindi un ultimo sforzo quasi verticale e giungo anch'io su Forcella La Sidon Bassa, alzo lo sguardo e noto come imponente si stagli il Pramaggiore davanti a noi, ma prima c'è da giungere alla vicina Forcella Pramaggiore (2295 m).
Davanti a noi un gruppo di vicentini sta salendo alla cima, io decido di fare uno spuntino prima di attaccare le roccette, nella speranza di non raggiungerli e doverli poi superare nello stretto sentiero, invece Ragù preferisce partire subito e li supera nel primo tratto.
Il sentiero che sale alla cima, indicato con bolli rossi, sale ruvido intervallando tratti di sentiero a roccette dove bisogna arrampicare; questa volta si tratta di superare un dislivello di quasi 200 m. Tutto sommato giungo in cima senza particolari difficoltà e dopo, naturalmente, aver superato i vicentini.
Il panorama è davvero uno spettacolo e noi decidiamo di godercelo consumando le ultime 3 uova.
Dopo esserci cucinati al sole, riprendiamo lo zaino e iniziamo la discesa. Ovviamente Ragù dopo poco è già alla forcella che mi guarda; io, che sono meno pratico di arrampicata, in particolare nella discesa, proseguo cauto e schivando sassi urtati dai 5 sloveni che salivano incautamente, mi ricongiungo a Ragù che mi porge un onesto panino al tonno.
D'ora in poi solo discesa ad attenderci, dolce nel primo tratto fino ai ruderi di Cason Val dell'Inferno (segnavia 366), in cui incontriamo un piccolo coccodrillo, quindi un po' più ripida e afosa nel primo tratto del sentiero 362 - attenzione ad alcune piante cadute sul sentiero in seguito alla Tempesta Vaia - poi dopo aver risuperato i vicentini, intenti in uno spuntino a base di tonno, il sentiero si immerge nel bosco e finalmente l'ombra si fa più fitta e gradevole. A quota 1300 m il sentiero esce dal bosco e contornato dai più bassi pini mughi, costeggia il torrente, che in breve, però, come carsismo vuole, scompare nel sottosuolo.
Nell'ultimo tratto una strada trattorabile sul greto del saltuario torrente porta al parcheggio Meluzzo (segnavia 362, poi 361), ma noi attirati dalla musica, che risuona per tutta la valle, decidiamo di salire a portare i saluti di mia cugina Anna ad Ivan e Marika, gestori del Rifugio Pordenone (1249 m) e veniamo accolti dal rifugio in festa, come festeggiassero il nostro arrivo.
In sintesi:
L'itinerario da noi seguito richiede un impegno ed un'esperienza avanzata, i sentieri sono spesso ghiaiosi e ripidi, sebbene ben segnalati, inoltre i tratti di roccette non possono essere affrontati senza un minimo di esperienza. Attenzione però a non sottovalutare nemmeno l'anello classico che, per quanto superi un dislivello inferiore, affronta tratti di ghiaione ugualmente ripidi e franosi, in particolare nella tappa dal Rifugio Pordenone al Rifugio Padova.
Carta escursionistica: Tabacco 02, 016, 021, oppure Carta della Tabacco delle Dolomiti Friulane
Dislivello totale: 5000 m ca.
Distanza totale: 42 km
Quota minima: Parcheggio Meluzzo 1174 m
Quota massima: Monte Pramaggiore 2478 m
Tempo totale: 4 giorni
Giorno 1: 5/6 h p.c. (pause comprese), distanza 8km, dislivello 1200 m ca, traccia gpx
Giorno 2: 7/8 h p.c., distanza 12 km, dislivello 1500 m ca, traccia gpx
Giorno 3: 6/7 h p.c., distanza 10 km, dislivello 1300 m ca, traccia gpx
Giorno 4: 7/8 h p.c., distanza 12 km, dislivello 1200 m ca, traccia gpx.
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